"Sud est" è il secondo album prodotto dagli Aramirè, in regime di coproduzione tra le loro Edizioni e la casa discografica Arroyo.
Il disco si compone di quindici tracce, ancora una volta in molti casi riprese dal repertorio storico registrato da Luigi Chiriatti, ancora membro del gruppo, durante la seconda metà degli anni Settanta.
Il disco inizia con una pizzica voci e tamburo dal titolo "Sta strata", dove è notevole l'intreccio vocale delle voci di Roberto Raheli, Antonio Castrignanò e Luigi Chiriatti (tenori) e Alessandro Girasoli (basso).
Dopo questo inizio fortemente tradizionale, arriva "Aremu", brano in cui si riconosce l'apporto agli arrangiamenti del fisarmonicista di origine albanese Admir Shkurtaj. Lo stile del gruppo è portato da questa presenza verso un certo stile balcanico e anche verso un uso organistico della fisarmonica, dove quasi tutte le ottave vengono chiamate alla produzione di un unico suono basso, sul quale si innestano leggerissimi arricchimenti armonici.
Questo stile, forse leggermente influito da certo "nuevo tango" argentino, lo si ritrova nella versione di "Fior di tutti i fiori", dove però senza dubbio l'elemento che spicca è il flauto di canna di Roberto Raheli. Il brano può risultare curioso per il rispetto di una consuetudine che oggi si è persa, quella di cantare le stornellate a due voci. Il brano, difatti, si alterna tra parti solistiche di Raheli e parti di Luigi Chiriatti che prevedono, nei finali il sostegno di Girasoli su note più gravi.
La quarta traccia è "'Ntunucciu", brano del repertorio che negli anni Settanta fu del primissimo Canzoniere Grecanico Salentino. La versione degli Aramirè è profondamente diversa, sia nel testo che nella musicalità, fortemente arricchita da fiati bandistici (grazie a Cesare dell'Anna ed altri valenti musicisti), che anticipano di circa dieci anni l'attuale dilagare di rielaborazioni bandistiche di brani salentini.
La quinta traccia è una bellissima resa di "Quantu me pari beddhra", melodia cantata dagli Ucci ed incisa dagli stessi Aramirè nella raccolta dedicata al gruppo dal titolo "Bonasera a quista casa".
Il brano successivo è una pizzica che in molte sue parti ricalca quella incisa dagli stessi Aramirè nel 1999 accompagnando Luigi Stifani (ultimo violinista del tarantismo leccese) che, pochi mesi prima di morire, ancora dimostrava grande bravura. La versione di "Sud Est è impreziosita dalla collaborazione di Mario Salvi all'organetto, e vede Roberto Raheli all'esecuzione dei giri di Stifani al violino.
Dalle registrazioni di Brizio Montinaro viene "Ferma zitella", brano per il quale valgono i discorsi fatti più sopra sull'uso delle gravi della fisarmonica.
Dalla tradizione di brani semicolti in lingua grica viene "Cali nifta" di Vito Domenico Palumbo, morto durante la prima guerra mondiale. L'interpretazione è portata avanti da Roberto Raheli con dolcezza nonostante il ritmo qualche volta un po' troppo sostenuto.
Già presente nel precedente "Opillopillopì" torna anche qui "Lu rusciu de lu mare", brano che gli Aramirè hanno sempre eseguito in in due parti: iniziando con una parte fortemente influenzata dalla versione che Giovanna Marini imparò dal Nuovo Canzoniere del Salento di Luigi Lezzi (gruppo da cui si sarebbe originato il Canzoniere Grecanico Salentino), senza soluzione di continuità il gruppo mostra una propria versione in minore fortemente debitrice di quella che facevano i Radici di Donatello Pisanello.
Dal repertorio degli Ucci vengono i successivi due brani "Santa Cesarea" e "Scusate signor Conte, il primo un valzer di tematica tragica, il secondo un virtuosistico brano a cappella.
Curioso è il dodicesimo brano, tarantella scherzosa sulle grida dei venditori ambulanti, che viene seguito da degli "Stornelli" sullo stile degli Ucci, con una voce (Raheli) che canta le strofe e con altre due voci (variazione d'autore su prassi tradizionale) (Castrignanò e Girasoli) che ripetono i finali facendosi i controcanti. Questo brano, come già detto per altri, parte dagli "Stornelli" di "Bonasera a quista casa".
Dal repertorio del Nuovo Canzoniere del Salento viene "Fimmene fimmene", anche questa ritorno dal precedente "Opillopillopì". Gli Aramirè, come fece Luigi Lezzi negli anni Settanta, fondono strofe sul tarantismo a quelle di tematica lavorativa.
L'ultima traccia è una "Pizzica tarantata", sul modello di quelle che Luuigi Stifani chiamava "Pizziche sorde", ossia più lenta. Gli Aramirè fanno sentire più gli strumenti d'accompagnamento che il violino.