"Sangue vivo"

"Sangue vivo" è il titolo del secondo film di Edoardo Winspeare e del secondo cd degli Officina Zoè che ne contiene la colonna sonora.
un album fondamentale sia nella storia degli Zoè che della moderna musica salentina per vari motivi.
Intanto è il primo album quasi completamente d'autore dopo gli esperimenti degli anni Ottanta del Canzoniere Grecanico Salentino e dei Tamburellisti di Torrepaduli, poi fa emergere in maniera ancora più forte la straripante personalità di Pino "Zimba", carismatico tamburellista della prima fase della storia degli Zoè.
Da subito il cd dimostra tutta la sua carica rivoluzionaria, perché la sua prima traccia, "Don pizzica", è il primo brano degli Zoè dove si sentono le sonorità dell'organetto imparato in quel periodo da Donatello Pisanello. Il brano diventa immediatamente uno standard, spesso suonato come se fosse tradizionale, cosa che fa sì che spesso tutt'ora vengano composti brani che ne ricalcano in molti momenti le trovate armoniche.
La seconda traccia, composta invece completamente da Cinzia Marzo, che si era già occupata del testo della precedente, è una pizzica che in più di un elemento ricorda quelle per tirare di scherma. Il brano, dal titolo "Ijentu", è un richiamo all'essenzialità, rafforzato anche dalla concezione strumentale del pezzo, accompagnato solo da percussioni ed armonica.
Molto belli anche i giochi di voci sul testo, che danno il la al primo brano lento "Nifta maiu", testo griko musicato dagli Zoè su un ritmo riconducibile alla stornellata.
Nel brano primeggia la voce di Raffaella Aprile, mentre a Cinzia tocca il ruolo di suonatrice di flauto e di accompagnatrice quasi nascosta, o di eco della voce principale.
Quando si torna alla pizzica lo si fa con due classici del repertorio dell'Officina. Il primo è la strumentale, semplicissima e liberatoria pizzica in minore "Filia", dove è l'organetto, sostenuto solamente dai tamburelli, a ricamare la bellissima linea melodica e a mostrare tutta la sua ricchezza armonica.
La coppia di pizziche si conclude con "Sale", una traccia dove gli Zoè musicano in maniera moderna, ma comunque sempre rispettosa dei canoni della tradizione, alcune strofe del repertorio degli "Ucci" di Cutrofiano, con cui "Zimba" aveva collaborato da ragazzino.
Il brano, forse simbolicamente, inizia con lo stesso "Zimba" che a cappella e lentamente interpreta lo stile di pizzica conosciuto come "Pizzica di Ugento", dopodiché si va ad un crescendo lunghissimo che culmina con delle strofe dalla filosofia pregnante interpretate, quasi gridando, da Cinzia Marzo.
Il finale è affidato ad un assolo di Claudio Miggiano che in questo disco si scopre suonatore di tres e violino.
L'unico brano effettivamente tradizionale del disco lo troviamo subito dopo, con la commovente "Mamma la luna", grido di dolore e di disagio dove le voci di Cinzia Marzo e Raffaella Aprile sono sostenute solamente da un "basso ostinato" delkla chitarra di Ambrogio de Nicola.
Molto bella è anche la traccia successiva, canto d'emigrazione che parla dei problemi che ha una famiglia quando qualche componente è lontano, in questo caso addirittura in America.
Subito dopo si torna alla pizzica, con l'ultimo esempio che il gruppo ne dà nel cd, la lunghissima e filosofica "Macaria".
Come spesso accade negli Zoè il testo è breve e folgorante, dopodiché si passa ad un lunghissimo brano strumentale dove vari strumenti si intrecciano in vario modo. Qui per la prima volta appaiono i flauti "non temperati" di provenienza calabrese, con cui Cinzia Marzo ama tessere melodie nei brani di propria composizione come questo.
Per reazione arriva "Riu", brano in cui la vocalità, senza cantare parole, si riprende tutto lo spazio, solo sostenuta dal "basso fisso" quasi organistico dell'organetto di Donatello Pisanello.
Il cd si chiude con una leggenda leucana musicata dagli Zoè, dove si invita chi ascolta alla coerenza.
Il brano è una stornellata tra minore e maggiore, dove la voce di Cinzia Marzo fa da narratrice, mentre Raffaella Aprile si limita a sottolineare alcune parti, ossia i finali di strofa, tecnica usata dalla tradizione in più di un repertorio.